Il sentimento e il disincanto
Appunti sulla realtà che si fa letteratura nei romanzi femminili del nostro tempo
“Ho pensato: qualcuno deve insegnare a quest’uomo come avere dei sentimenti, e come scrivere un messaggio, e qualcuno deve anche dirmi che cazzo fare adesso.”
Così, Ava, la protagonista di “Tempi Eccitanti” di Naoise Dolan, si confronta con Julian, il ricco banchiere da cui vive senza pagare l’affitto, avendo con lui saltuari rapporti sessuali nella consapevolezza che non sarà mai la sua compagna, e con i propri sentimenti ambivalenti nei confronti di quell’uomo anafettivo e dell’altra relazione che, parallelamente, intrattiene con Edith, una brillante giovane in carriera che vorrebbe al contrario stringere con lei un rapporto di coppia sentimentale.
Naoise Dolan è l’ultima, in ordine di pubblicazione, autrice di provienienza anglosassone della genealogia Rachel Cusk → Sally Rooney. Irlandese come quest’ultima, ne condivide la capacità di tessere le trame dei romanzi per lo più nei dialoghi e quella di scrivere storie nelle quali i (pochi) accadimenti si riverberano nei fitti pensieri delle protagoniste che non diventano mai solipsistici.
“Gradualmente l’attesa cominciò a sembrare meno l’attesa e più il fatto che questa fosse semplicemente ciò che è la vita: fare le faccende che distraggono mentre le cose che attendi continuano a non accadere. Ho fatto domanda per dei lavori e sono andata a seguire dei seminari. Le cose procedevano.” (Parlarne tra amici, Sally Rooney)
Nella trilogia della Cusk (Resoconto, Transiti, Onori) la protagonista, una donna non più giovanissima, è sposata e madre ma la famiglia non compare mai: attraverso le impressioni che scaturiscono dai suoi incontri di perenne viaggiatrice, di donna che fa radere al suolo un appartamento per rifarlo a proprio piacimento, di frequentatrice di ambienti letterari e conferenziera, si ricava il profilo della protagonista. Osservatrice innanzitutto, solitaria che presenta il “resoconto” degli scambi brevi o approfonditi che ha con una molteplicità di altri. A differenza di Rooney e Dolan, nella Cusk i dialoghi sono più mediati dalla prima persona della narratrice, ma l’impressione che lo stile restituisce è la medesima, corrisponde al contenuto in modo quasi perfetto: le protagoniste sono donne che si fanno in rapporto a ciò che vivono. Solo raramente traspaiono sentimenti che non siano direttamente riconducibili a reazioni rispetto all’altro.
“C’era una grande differenza, ho aggiunto, fra ciò che volevo e ciò che in apparenza potevo avere, e finché non mi fossi infine e per sempre pacificata con tale stato di cose, avevo deciso di non volere nulla di nulla. Il mio vicino è rimasto zitto per un tempo considerevole. […] — Non c’è stato nessuno? — ha chiesto. C’era stato, ho detto, qualcuno. Eravamo tuttora buoni amici. Ma avevo preferito chiudere quella storia. Stavo cercando un modo diverso di stare al mondo.” (Rachel Cusk, Resoconto)
Il mondo, la politica, l’economia come contesto ambientale, pur riverberandosi nelle storie narrate (soprattutto in Tempi Eccitanti che insiste su quanto sia centrale, ad esempio, l’illegalità dell’aborto in Irlanda sulla scelta delle donne di avere una vita sessuale e di che tipo o su quanto l’ideologia neoliberista dell’iper competizione schiacci qualunque velleità intellettuale degli insegnanti di Hong Kong) non costituisce che un puro dato di fatto; non viene problematizzato, non viene modificato dalle azioni o dai pensieri delle protagoniste. Emerge negli squilibri di potere tra i generi, emerge nei dialoghi nei quali alcuni chiedono ragione della solitudine delle protagoniste, emerge nelle conseguenze materiali che sono implicate dalle scelte di vita che queste fanno. Scelte di vita, anch’esse, mai tematizzate in quanto tali ma sempre emergenti dal livello dei rapporti umani.
è proprio questa la cosa più interessante delle opere di queste tre autrici: la capacità di veicolare il senso di un’infinità di variabili che incidono sulla vita delle protagoniste (condizioni geografiche e sociali di nascita, classe sociale, professione, istruzioni, network sociali ecc.) senza mai toccarle direttamente, ma facendole emergere in filigrana attraverso i dialoghi che sono a loro volta la cartina di tornasole della trama dei rapporti personali. Non è, come si accennava, una scelta solo stilistica ma profondamente contenutistica: è la scelta di chi vuole raccontare la complessità del disincanto non come forma di nichilismo o negazione della possibilità sentimentale ma come unica forma per incontrare quella stessa possibilità sentimentale che sembra sempre negarsi. In questo senso, in tutti i loro romanzi i rapporti sono vissuti sempre in assenza dell’altro: il sesso è solo un accidente, non ha mai a che fare con i sentimenti e la riflessione su di esso è una riflessione da fare con se stesse e per se stesse, nella convinzione del disinteresse altrui; il proprio ruolo nella vita dell’altro è sempre concepito come di passaggio, mai capace di sconvolgere alcunché nel prossimo; l’incontro è sempre mediato dall’assunto originale che l’altro non vorrà prolungarlo, stabilizzarlo, impegnarsi, preoccuparsi di gestirlo.
Tuttavia, se fossero romanzi di cinismo non avrebbero lo spessore che invece hanno e che deriva da uno sguardo che sembra indicare una via molto stretta, un pertugio tra l’illusione romantica — che non trova cittadinanza né legittimità nel mondo contemporaneo allergico alle grandi narrazioni, frammentato, individualista e consumista — e il nichilismo più bieco che negando alla radice la possibilità dell’incontro autentico fornirebbe almeno un elemento di pacificazione che nelle storie delle tre autrici è invece solo apparente. Le protagoniste di Cusk, Rooney e Dolan, infatti, nel loro disincanto non vogliono esser confermate ma, semmai, essere smentite senza mai tuttavia coltivare velleità sentimentali. è uno scambio con gli altri (in particolare nel campo dei rapporti erotici e in seconda battuta amicali) che, in modo incoscio per tutte le protagoniste, si gioca proprio in quella via molto stretta: l’assenza pressocché completa di aspettative di autenticità nei confronti degli incontri che si fanno e dei rapporti che si intrattengono e, allo stesso tempo, la presa d’atto che questi definiscano almeno un aspetto del proprio io. Sartrianamente, sono narrazioni che lasciano intendere che le protagoniste accettino lo sguardo dell’altro che è sempre uno sguardo che “pietrifica”, perché immortala il sé agli occhi di chi guarda in un modo che non potrà mai cogliere la profondità e la molteplicità del proprio io, ma, invece di condurre alla nota conclusione del filosofo francese intorno al fatto che ciò fa sì che “l’inferno sono gli altri”, in questo caso tale pietrificazione viene accettata: ci si adegua a quello sguardo, nella profonda consapevolezza che l’altro non farà mai lo sforzo reale di andare oltre, di conoscerci davvero. Eppure, se vi fosse completa accettazione semplicemente questi romanzi non esisterebbero: lo spazio dell’autoriflessione delle protagoniste intorno a questa discrasia su ciò che sentono di essere e la percezione che l’altro/a ha di loro, apre lo spazio della letteratura ma anche quello delle possibilità sentimentali. L’amore, l’incontro erotico autentico e reciproco, la condivisione intellettuale e sentimentale non scompaiono del tutto ma sono trasfigurate nella loro negazione: esistono solo attraverso il loro contrappasso, ossia la riflessione delle protagoniste sulla sofferenza che ciò genera in loro.
Innanzitutto, questo apre lo spazio della paura. Il disincanto, infatti, agisce attraverso un duplice meccanismo: da una parte, prendendo atto dell’impossibilità di essere amate scarica sull’altro l’onere della prova nella consapevolezza che tale prova non arriverà mai, generando un sottofondo di malinconia, tristezza, abbandono; d’altro canto, costituisce un formidabile scudo: la negazione della possibilità di essere amate porta con sé la negazione vicendevole della possibilità di amare.
“Tu sottovaluti il tuo stesso potere così non devi incolparti per il fatto di trattare male gli altri.” (Parlarne tra amici, Rooney)
Anche quando, in entrambi i romanzi della Rooney, le protagoniste ammettono di essere innamorate (in “Conversation with Friends” Frances prima della sua coinquilina e poi del marito di una conoscente; in “Normal People” Marianne nei confronti di Connell) si comportano sistematicamente in modo da non includere mai l’altro/a come fattore di influenza della propria vita. Il disincanto è lo strumento dell’autoflagellazione attraverso il quale si ha continua coscienza di non meritare l’amore ma anche della consapevolezza che se ci si autoflagella a sufficienza non rimarrà spazio per farsi flagellare dagli altri.
In questo la Rooney è maestra della Dolan: nella descrizione della passività, sofferta ma intenzionale e della consapevolezza di innamorarsi proprio malgrado. Alcune pagine di Tempi Eccitanti, in questo senso, sono del tutto sovrapponibili a quelle della Rooney: le protagoniste scrivono e riscrivono sms e mail e messaggi di whatsapp che non manderanno mai. La prima cosa è la paura di una vulnerabilità che si consuma nella sua non espressione:
“Se vogliamo le ricompense dell’essere amati dobbiamo sottometterci alla mortificante sventura di esser conosciuti” (Parlarne tra amici, Rooney)
“Pensavo che se avessi mai lasciato entrare qualcuno, avrebbero scoperto cosa c’era di sbagliato in me. E a quel punto non solo l’avrebbero saputo loro, ma l’avrei saputo anche io.” (Tempi eccitanti, Dolan)
La seconda cosa è che nelle storie del disincanto non si capisce più chi è che distanzia chi. Il disincanto ha origine come meccanismo di autotutela, di estraneazione da rapporti percepiti come unilaterali nei quali l’altro cerca sempre solo la propria soddisfazione (sessuale, intellettuale, affettiva a seconda dei casi), ma finisce presto per costituire una gabbia. è a quel punto che si riverbera anche nelle scelte di vita che hanno a che fare con lo “sfondo”, con il dato: proprio perché le protagoniste hanno una profonda coscienza delle questioni di genere, proprio perché hanno una fine comprensione delle dinamiche del capitalismo, del precariato, del neoliberismo scelgono di non contrastarle proprio come scelgono di non contrastare il disincanto. A proposito dei rapporti personali privati o di quelli collettivi non c’è alcun messaggio edificante nei romanzi delle tre autrici: ci sono crude prese d’atto, scampoli di rassegnazione, la ricerca ossessiva di copying mechanisms con il disamore tanto quanto col capitalismo e il pregiudizio culturale. La risposta alla domanda di Parlarne tra amici “è possibile che troviamo un modello alternativo di amarci?” è sì, ma solo nel senso dell’annullamento delle illusioni romantiche sostituite dalle dinamiche del disincanto.
“Non so cosa ci sia di sbagliato in me, dice Marianne. Non capisco perché non posso essere come le persone normali” ma chi sono le persone normali a cui si riferisce la Rooney? Le persone normali siamo noi. Sono Marianne, Frances, Connell, Nick, Ava, Julian, Edith, Faye e le comparse con le loro storie che incrocia, anche se nessuno di loro si percepisce come tale.
I romanzi di Cusk, Rooney e Dolan non sono significativi solo perché hanno uno stile particolare o perché sono tutti entrati nelle maggiori classifiche anglosassoni e non solo dei “book of the year” negli anni di pubblicazione, ma perché sono tremendamente e crudemente paradigmatici dei rapporti contemporanei. Il terrore che l’altro scopra le proprie vulnerabilità, l’ansia di non essere abbastanza, l’inseguimento di personalità anaffettive e la condizione di anemia che l’anaffettività comporta, la fuga dall’impegno e dalla responsabilità, il crogiolarsi nella solitudine esistenziale: una società nella quale i single superano in numero le coppie (così accade anche in Italia, a Milano per esempio), nella quale il poliamore è accettato tanto quanto la coppia “tradizionale”, nella quale è perfettamente normale essere non binari, avere preferenze sessuali non etero, avere dei figli da single o vivere una vita da sposati senza figli, non sposarsi o sposarsi innumerevoli volte, una società dove insomma qualunque forma è accettata, legittima, possibile (non per questo, troppo spesso, ingiustamente e criminalmente discriminata), nella quale le donne hanno preso coscienza delle proprie possibilità di emancipazione (seppur in un percorso ancora tutto in salita) e il movimento LGBTQ+ ottiene importanti (seppur, anche qui, tardivi e mai sufficienti) riconoscimenti, i romanzi di Cusk, Rooney e Dolan raccontano con semplicità e immediatezza l’altra faccia della medaglia. I rapporti umani non diventano più facili quando si esce dal modello eteronormato della coppia, né divengono meno sofferti. Una volta che si è scelta una forma, più o meno convenzionale, si è solo (“solo”) fatto il passo avanti di decidere la forma esteriore nella quale si preferisce soffrire. Per instaurare dei rapporti autentici, per dare una possibilità reale all’altro, per sostituire al disincanto il sentimento serve un coraggio che non ha niente a che fare con l’esteriorità. Ha a che fare con i compromessi che bisogna fare, con se stessi, per rompere la solitudine, per uscire dalla condizione che registra Faye in “Transiti”:
“Loneliness, she said, is when nothing will stick to you, when nothing will thrive around you, when you start to think that you kill things just by being there.”
Rachel Cusk
Se la normalità è il disincanto, resta ancora da scrivere il romanzo dell’anormalità. Chissà in quale anno comparirà tra i “titoli imperdibili”.