Scrittori e Amanti
Il romanzo di Lily King ha un grande pregio e un solo difetto: è la nostra vita, ma finisce bene.
[Spoiler Alert]
Lily King non è la nuova Naoise Dolan e nemmeno la nuova Sally Rooney ma Casey Kasem siamo indubitabilmente noi. Come se non bastasse avere trent’anni, essere donne e provare a cavarsela da sole c’è solo una cosa che può rendere tutto davvero, ma davvero, un inferno: provare a cavarsela avendo scelto di seguire le proprie velleità intellettuali o artistiche.
L’inferno si riconosce facilmente: è scomodo.
Casey vive in una puzzolente ex casetta da giardino riadattata a monolocale, fa dei turni allucinanti al ristorante come cameriera per coprire le rate di tutti i debiti contratti per l’università, per le scuole, per accedere a quelle reti sociali che dovrebbero renderti ciò che vuole diventare: una scrittrice.
L’inferno è pieno di sottintesi: se non li rispetti nessuno si innamorerà mai di te.
Casey rincorre solo uomini con le sue stesse velleità artistiche. E loro rincorrono lei. Ma solo fin tanto che averla valida il loro lavoro. Alcuni la scaricano, altri le chiedono di andare a vivere da loro per sempre. Ma non lo fanno mai per supportare il talento di lei. Quanti sono gli uomini disposti ad accettare che la propria compagna sia brava ma brava davvero? Molti, ma non necessariamente la maggioranza. Quanti sono disposti ad accettare che quella bravura non è solo un vezzo da sfoggiare quando fa comodo ma si porta con sé un’altra individualità con necessità ed esigenze che nega, per il solo fatto di esserci, l’idea della donna devota alle cure altrui? Quanti sono disposti a passare dall’idea che sia una conquista andarci a letto all’idea che si possa costruire una vita, o qualcosa del genere, insieme?
“è rigida. bloccata nelle sue abitudini. come una vecchia zitella”
“a me sembrava sciolta, vitale, felice. Perché non ti piace?”
“Stiamo veramente litigando sul perché non sto con un’altra?”
“Ha la tua età, è una bella donna ed è innamorata di te”
“è solo che je ne sais quoi”
Io, invece, l’ho capito il quoi. Lei fa letture in chiese e auditorium. Lei domani va a Londra per continuare il tour del suo libro il Europa.
L’inferno ha sempre la stessa intestazione: il codice a barre per pagare la parcella del medico.
Casey potrebbe essere molto malata ma non può davvero scoprirlo perché non può permetterselo. Quanti sono i millennials che possono permettersi le cure specialistiche senza aver abbandonato l’idea di diventare scrittori, giornalisti, artisti, musicisti, ricercatori? Ecco.
Adesso non mi resta che barcamenarmi, pagare la quota minima fino a che…E questo è il problema: fino a che cosa? Fino a quando? Non c’è risposta. Questo fa parte dello spettro grigio che incombe su di me.
L’inferno ha sempre lo stesso volto: tutti quelli che vogliono rabbonirti compatendo le tue aspirazioni
Casey si porta addosso un’etichetta. è quella che vuole fare la scrittrice. la deridono i suoi capi al ristorante, il suo padrone di “casa”, la deride la sua migliore amica che la invita al matrimonio e le dice che infondo deve solo pagare i mille dollari di aereo e quando Casey dice che non può si sente rispondere che nessuna persona adulta sul serio può vivere in modo così irresponsabile da non avere un lavoro vero che le consenta di spendere i soldi di un volo.
“Ormai quante pagine hai scritto?”
“Saranno duecento” Non smetto di muovermi. Sono quasi arrivata alla mia stanza di fronte al garage.
“è che, vedi…” si stacca dalla macchina e aspetta di avere tutta la mia attenzione. “è solo che mi sembra incredibile che pensi di avere delle cose da dire”
L’inferno lo definisci sempre tu: hanno tutti ragione.
Casey ha perso la madre. Il padre era un maniaco sessuale, lei lo ha scoperto a scuola. è sola. quando le dicono che dovrebbe trovarsi un lavoro vero, hanno ragione. quando gli uomini imbastiscono con lei rapporti discontinui basati sul cercarla solo quando vogliono loro perché annusano l’instabilità, hanno ragione. quando il capo la licenzia perché lei perde la pazienza con un cliente che le tocca il culo, ha ragione. quando i medici la sgridano per non essersi fatta visitare prima, hanno ragione. Per le persone sole gli altri hanno sempre ragione perché l’assunto su cui si basa l’inferno è che con le tue miserie fai i conti solo tu. Gli altri vedono solo la punta dell’iceberg che emerge dalla mancanza di amore, soldi, stabilità: una persona insufficiente per i loro requisiti. Hanno tutti talmente ragione che Casey pensa di aver bucato l’unico colloquio per un lavoro decente nonostante in realtà l’abbia passato.
L’inferno è un posto semplice: siccome è già pieno di sofferenze, ci sono anche quelle non necessarie.
Di serata letteraria in happening culturale, Casey finisce per frequentare uomini e donne talmente preda dei propri ego da “artisti” che, mentre lei crede di non meritare nemmeno la loro compagnia, finiscono per rivelarsi solo per le persone che sono: incapaci di rendersi conto di aver di fronte altre persone con cui stringere delle relazioni non da utilizzare come audience.
“Lo scorso autunno il ragazzo di Muriel le ha detto che aveva bisogno di stare da solo in una stanza con dei libri. Erano insieme da quasi tre anni. Ha detto che stando assieme alla fine si sarebbero semplicemente sposati e riprodotti, mentre lui aveva bisogno di scrivere. E Muriel gli ha detto “anch’io”. Che non le fregava un cazzo di sposarsi e fare figli. Non ne sapevo niente, le ha detto lui, pur avendo due lauree. Aveva bisogno di stare da solo in una stanza con dei libri. è andato a vivere al terzo piano della casa di suo fratello nel Maine. Succedeva dieci mesi fa. è da allora che non si sentono più. […]
“Si è spaventato. Pensare al resto della sua vita gli aveva fatto paura. Ma perdermi gli ha fatto ancora più paura, così ha detto. […] si è messo a piangere. non lo avevo mai visto piangere, non con le lacrime […] e quando ha tentato di baciarmi l’ho spinto via.”
“David ha scritto il suo libro?” domando.
“Non l’ha nemmeno cominciato.” Soffia sul suo tè. “Io invece ho scritto duecentosessanta pagine da quando mi ha lasciata”.
L’unico uomo che le interessa davvero, o meglio, che le fa sobbolire le viscere, con il quale sente della chimica, continua a sfuggirle. Casey non capisce perché. Finché lui non glielo spiega. Era in un periodo difficile, voleva tirarsi insieme prima di iniziare davvero ad uscire con lei perché la chimica la sentiva anche lui. L’unica opzione che Casey non aveva considerato. In un mondo di uomini autoriferiti sembra incredibile che uno, almeno uno, non solo si interessi a lei ma abbia scelto di non addossarle anche i propri di problemi, velleità tradite, drammi psicologici.
“Ti ricordi quando ti ho chiesto di uscire e poi sono partito?è stato perché avevo la sensazione che tutto stesse crollando e dovevo alzarmi e camminare in giro per la città alle due del mattino. Non potevo smettere di camminare. Credevo che smettendo sarei morto. Ho passato quest’estate a fare le valigie senza mai andarmene. Poi ti ho conosciuta e ho capito di non poter uscire con te finché non mi fossi sentito più normale. Quindi alla fine sono partito.”
“Io non ho una Crested Butte.”
“Hai qualcosa”
“è più un abisso”
“è una cosa dove devi arrivare”
In una vita piena di parcelle mediche impossibili, capi abusanti, rifiuti letterati, genitori assenti, affitti esorbitanti, il comportamento del 90% delle persone che ha a che fare con lei non fa che aggiungere sofferenze non necessarie a quelle già esistenti, noncuranti del suo inferno ma pronte a riversarle addosso un po’ del proprio, spesso incomparabile per gravità.
Quando ho finito di leggere “Scrittori e amanti” di King ho pensato a quella frase di un’amica che, commentando le giustificazioni che si davano all’interno della conversazione a comportamenti continuinativi scostanti ed autocentrati altrui “è un periodo difficile” “poverino non ce la fa” “bisogna pazientare ancora”, ha risposto: “tu pensi di essere una brutta persona?” — mh, no. “pensi di aver avuto una vita facile?” — mh assolutamente no. “E allora il discorso è chiuso”. La vita di merda non giustifica i comportamenti di merda. Anzi.
Game. Set. Match.
Casey sente continuamente il corpo che cede sotto il peso della stanchezza, dei ritmi assurdi, delle preoccupazioni, il terreno sotto i piedi che non c’è mai stato. Rimane appesa con le ultime forze al suo romanzo.
Ci sono molte più persone di quanto prevedessi. […] Dico la verità. Che ho trentunanni e debiti per 73mila dollari. Che dall’età del college ho traslocato undici volte, ho fatto diciassette lavori e ho avuto un po’ di relazioni che non hanno funzionato. Non ho più avuto rapporti con mio padre dalla quarta superiore e mia madre è morta all’inizio di quest’anno. Il mio unico fratello vive a cinquemila km di distanza. La cosa che ho avuto negli ultimi sei anni, quella che è rimasta costante e stabile nella mia vita è il romanzo che ho scritto. è stato la mia casa, il posto in cui ho sempre potuto rifugiarmi. il posto in cui a volte, dico, ho addirittura sentito di avere un potere. Il posto dove sono veramente me stessa.
Casey è irrimediabilmente, terribilmente, miseramente, noi. A quale noi mi riferisco lo sa chi si riconosce istitualmente in una qualunque delle frasi di questo libro. Trentenni prigionieri di un’esistenza che abbiamo voluto, forse non capendone a pieno le conseguenze, ma che non possiamo dire che non avremmo perseguito comunque pur saggiandone i minimi dettagli. Trentenni alle prese con un corpo che risponde e non risponde, che ha bisogno di manutenzione mentre alla manutenzione del benessere psicologico nemmeno ci proviamo. Trentenni di cui nessuno davvero si prende più cura. Siamo troppo grandi perché possano ancora farlo i nostri genitori, siamo rimasti adolescenti perseguendo le nostre velleità intellettuali o creative e quindi non sappiamo farlo da soli. Se siamo fortunati, o fortunate che è ben più difficile, troviamo un Silas come flirt e una Muriel come amica, se non lo siamo è un continuo dimenarsi tra gente a cui del nostro inferno non interessa niente ma che, siccome siamo ben eccentrici, si giova volentieri della nostra compagnia. Ci siamo scelti un destino e ora ogni giorno il destino ci presenta il conto, non dissimile dalle compagnie di prestiti che perseguitano Casey. Speriamo di cavarcela, cerchiamo a tentoni qualcosa che giri nel verso giusto.
Leggendo Lily King mi sono chiesta se avessi mai potuto diventare qualcosa di diverso da Casey Kasem. Siccome non lo scoprirò mai, non ho che da sperare che vada come è andata a lei. Perché è questo, in definitiva, il nostro inferno: quando si sceglie di vivere per le proprie velleità non c’è niente di peggio che il doversi continuamente confrontare con se stessi, sul non essere all’altezza di quelle velleità e, con gli altri, sul fatto che nessuno sarà disposto a starti a fianco mentre le rincorri.